Tumblr mi ha ispirato. Leggendo il post di una Una voce a caso sulle sue 100 canzoni degli ani '90 sono partiti random nella mia testa i ricordi di quegli anni, legati in un modo o nell'altro alla musica. Leggevo la lista, ricordavo e sorridevo da sola.
Le audiocassette, tante, da 60, 90 minuti, vergini, per poter creare le compilation con i brani preferiti. Scartavo il cellophane, giravo con il ditino la rotellina del nastro fino a posizionarlo nel punto giusto per iniziare la registrazione e aspettavo che per radio passasse la canzone che mi piaceva. E così avevo tutte cassette con canzone monche, che iniziavano con 10 secondi di ritardo e finivano con "e ben tornat" "abbiamo ascolt".
Il primo Hi-Fi, con l'equalizzatore a 3 bande, doppio vano cassette, e il lettore Cd. Non avevamo ancora Cd in casa così andammo a pescare nella sterminata discografia di mio zio che spaziava da Carmelo Zappulla a Nino D'Angelo. Fu così che le prime note emesse dalle nostre nuove casse furono quelle di "Nu jeans e na maglietta".
Le prime Boy-band, i Take That, la domanda d'obbligo: "quali dei Take That ti piace?" Io non li sapevo distinguere e non è che mi interessassero molto, ma era obbligatorio avere il preferito e siccome i più belli se li erano già scelti a me toccò il cicciobombo.
I compiti a casa delle amiche, all'improvviso nel bel mezzo dello svolgimento di un equazione partiva "What is love baby don't hurt me, don't hurt me, no more" tutte si alzavano e ballavano al centro della stanza. Erano i momenti in cui avrei preferito morire, io tronco nacqui e i tronchi non ballano, al massimo ciondolano.
La prima volta che ho fatto ascoltare un brano che mi piaceva molto ad una amica, era "Worlds outside" di Chris Botti. Lei mi guardò con aria schifata e fermò il nastro. "Ora ascoltiamo quello che dico io" disse. Ci rimasi di merda. Anni dopo mi sono vendicata rivelando ai suoi amici che darkettona-alternativa era stata una grande fan dei Take That. Quando lo seppe mi minacciò di morte. Sì, era pazza.
La sera d'estate in cui ho ascoltato una canzone che mi ipnotizzò per 5 minuti e 08 secondi. Solo qualche tempo dopo scoprii che quel brano era Unfinished Symphathy e che quelli erano i Massive Attack.
L'anno in cui in casa arrivò mio cognato, molto più grande di me e con un bagaglio musicale tutto nuovo, divenne una sorta di fratello maggiore, mi fece conoscere Springsteen, i Dire Straits, i Pink Floyd, gli U2, i Simple Minds, i Litfiba e gli Spyro Gyra (chi?). Se per caso a metà degli anni '90 avete incrociato una Uno bianca con musica jazz fusion a tutto volume sappiate che eravamo noi.
Il giorno in cui ho comprato una rivista musicale "seria", tornai a casa tutta contenta, mia madre chiese "hai preso un bel voto?" "No", risposi "ho trovato un giornale che mi piace". Roteò gli occhi "Ti accontenti di così poco", disse e tornò a lavare le scale. Era Musica rock & altro, il supplemento di Repubblica, era una bella giornata di sole ed era il 14 maggio 1998.
Quando al mio compleanno un amico mi regalò l'intera discografia dei Nirvana, il giorno dopo mi chiese se mi fosse piaciuta io gli dissi di sì, ma mentii, non avevo ascoltato nulla perché c'avevo sonno e mi addormentai. Non l'avessi mai fatto, iniziò tutto un discorso filosofico sui Nirvana che affrontai annuendo e ripetendo "sì certo, l'alienazione, la rabbia, come no, mmmm, concordo". Non mi sono mai sentita così scema.
E poi di nuovo le boy-band, le Spice, i Backstreet e no grazie, passo.
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giovedì 2 settembre 2010
martedì 11 maggio 2010
Fever
Non avevo la febbre a 40°C dal secolo scorso.
Primo anno di liceo. Compito di matematica.
A fine ora si presenta mia madre.
"Sono venuta a prendere mia figlia."
"Ma sua figlia sta facendo il compito signora, non lo sa?"
"Lo so, ma mia figlia ha la febbre ed è venuta comunque."
"Ma allora abbiamo un eroina in classe! Acrob4t tiene così tanto alla matematica che viene a fare il compito nonostante la febbre!"
Risata diabolica.
Puttana.
Invece del solito 4 e mezzo presi 5 meno meno.
Giornata storica.
Primo anno di liceo. Compito di matematica.
A fine ora si presenta mia madre.
"Sono venuta a prendere mia figlia."
"Ma sua figlia sta facendo il compito signora, non lo sa?"
"Lo so, ma mia figlia ha la febbre ed è venuta comunque."
"Ma allora abbiamo un eroina in classe! Acrob4t tiene così tanto alla matematica che viene a fare il compito nonostante la febbre!"
Risata diabolica.
Puttana.
Invece del solito 4 e mezzo presi 5 meno meno.
Giornata storica.
mercoledì 11 novembre 2009
Bastava poco
Ci divertivamo con poco da piccoli, un tavolo, delle sedie, delle pentole rotte e si giocava a "mamma e figli", un must dei giochi.
Mia sorella era la mamma, io il papà e mio fratello il figlio, la mattina facevamo colazione con acqua mescolata a terra, poi accompagnavo mio figlio a scuola e andavo al lavoro. Lavoravo come tassista, con la bici giravo intorno casa, caricavo il cliente, che poi era sempre mio fratello, e lo portavo a destinazione. All'ora di pranzo si tornava a casa e mangiavamo quello che mia sorella aveva raccattato in giro, a seconda della stagione c'erano fiori, ciliegie, albicocche, noci, uva. E così ci rovinavamo l'appetito.
Bastava aprire le portiere della 128 per farla diventare un'astronave, sul sedile posteriore saliva anche il cane, un pastore tedesco con mezzo metro di lingua penzolante. Nella nostra astroauto il bottone sul freno a mano lanciava missili, l'accendisigari era il megapropulsore e il tasto delle quattrofrecce lanciava l'SOS, perché c'era sempre un'avaria. Quindi mi arrampicavo sul tetto, scivolavo sul cofano e riparavo il danno. Al rientro però perdevo i contatti e vagavo sola nello spazio, finché non arrivava mia sorella con la 126 a salvarmi.
La regina dei giochi era l'altalena, fatta con la corda legata al ramo dell'albero, corda che ti segava il culo anche se ci mettevi sopra strati e strati di pezzi di stoffa. Si faceva a gara a chi andava più in alto, quando andavi troppo forte gli zoccoletti si sfilavano e dopo dovevi cercarli a piedi nudi tra l'erba. Memorabile fu il giorno della rottura della corda e il volo di mio cugino verso il nulla. Ridemmo, di gusto anche.
Ridevamo, sempre, il riso era un anestetico alle nostre cadute. Ginocchia sbucciate, gomiti frantumati e mani escoriate non facevano poi tanto male se ne ridevamo tutti insieme, un po' d'acqua, un fazzoletto sopra e si ripartiva. Credo di detenere il record di 4 fazzoletti.
Se l'altalena era la regina, il pallone era il re. A casa mia c'erano rose ovunque, con spine grandi 5 cm, ogni giorno assistevamo alla morte del SuperSantos e ogni giorno resuscitava, grazie all'intervento dell'Attack, di un coltello infuocato o di qualch'altra diavoleria. Il pallone finiva ovunque, nel giardino dei vicini, sugli alberi, sul tetto del forno, nel confinante terreno abbandonato e andare a riprenderlo in quest'ultimo posto significava affrontare una prova di coraggio.
E poi c'era la trasgressione, il Motobim. Era proibito prendere questa sorta di motorino, allora aspettavamo di essere soli in casa, scendevamo nel garage, aprivamo l'aria, mano sull'acceleratore e con potenti colpi di gamba sulla leva tentavamo di accenderlo, impresa che molte volte falliva miseramente. Ma quando partiva era la gioia, mio fratello si attaccava forte forte a me e giravamo in tondo, due scemi felici. Questa disobbedienza mi costò un'ustione vicino alla marmitta, confessai dopo due giorni cosa era accaduto veramente. Non dissero niente.
Mia sorella era la mamma, io il papà e mio fratello il figlio, la mattina facevamo colazione con acqua mescolata a terra, poi accompagnavo mio figlio a scuola e andavo al lavoro. Lavoravo come tassista, con la bici giravo intorno casa, caricavo il cliente, che poi era sempre mio fratello, e lo portavo a destinazione. All'ora di pranzo si tornava a casa e mangiavamo quello che mia sorella aveva raccattato in giro, a seconda della stagione c'erano fiori, ciliegie, albicocche, noci, uva. E così ci rovinavamo l'appetito.
Bastava aprire le portiere della 128 per farla diventare un'astronave, sul sedile posteriore saliva anche il cane, un pastore tedesco con mezzo metro di lingua penzolante. Nella nostra astroauto il bottone sul freno a mano lanciava missili, l'accendisigari era il megapropulsore e il tasto delle quattrofrecce lanciava l'SOS, perché c'era sempre un'avaria. Quindi mi arrampicavo sul tetto, scivolavo sul cofano e riparavo il danno. Al rientro però perdevo i contatti e vagavo sola nello spazio, finché non arrivava mia sorella con la 126 a salvarmi.
La regina dei giochi era l'altalena, fatta con la corda legata al ramo dell'albero, corda che ti segava il culo anche se ci mettevi sopra strati e strati di pezzi di stoffa. Si faceva a gara a chi andava più in alto, quando andavi troppo forte gli zoccoletti si sfilavano e dopo dovevi cercarli a piedi nudi tra l'erba. Memorabile fu il giorno della rottura della corda e il volo di mio cugino verso il nulla. Ridemmo, di gusto anche.
Ridevamo, sempre, il riso era un anestetico alle nostre cadute. Ginocchia sbucciate, gomiti frantumati e mani escoriate non facevano poi tanto male se ne ridevamo tutti insieme, un po' d'acqua, un fazzoletto sopra e si ripartiva. Credo di detenere il record di 4 fazzoletti.
Se l'altalena era la regina, il pallone era il re. A casa mia c'erano rose ovunque, con spine grandi 5 cm, ogni giorno assistevamo alla morte del SuperSantos e ogni giorno resuscitava, grazie all'intervento dell'Attack, di un coltello infuocato o di qualch'altra diavoleria. Il pallone finiva ovunque, nel giardino dei vicini, sugli alberi, sul tetto del forno, nel confinante terreno abbandonato e andare a riprenderlo in quest'ultimo posto significava affrontare una prova di coraggio.
E poi c'era la trasgressione, il Motobim. Era proibito prendere questa sorta di motorino, allora aspettavamo di essere soli in casa, scendevamo nel garage, aprivamo l'aria, mano sull'acceleratore e con potenti colpi di gamba sulla leva tentavamo di accenderlo, impresa che molte volte falliva miseramente. Ma quando partiva era la gioia, mio fratello si attaccava forte forte a me e giravamo in tondo, due scemi felici. Questa disobbedienza mi costò un'ustione vicino alla marmitta, confessai dopo due giorni cosa era accaduto veramente. Non dissero niente.
venerdì 18 settembre 2009
E figl so piezz 'e core
-Mamma, com'ero a 12 anni?
-Come adesso.
-Dai non scherzare, com'ero?
-Eri così, eri sì una ragazzina ma non eri come le altre ragazzine.
-Ma tu non volevi che fossi come le altre?
-Le altre erano stupidine, tu non sei mai stata una stupidina. Tu sei nata grande.
-Esagerata, mi sa che non ricordi bene.
-Il tuo primo giorno di asilo ti ho accompagnato a scuola, senza fare una piega ti sei seduta al tuo banchetto, intorno a te urla e pianti di bambini che non volevano restare, che si attaccavano alle gambe delle madri. Io ero lì, aspettavo una tua reazione, una parte di me voleva che piangessi, che mi chiamassi. E invece ti sei girata e hai detto: "ma adesso te ne vuoi andare!"
Mi hai spezzato il cuore. E ho capito che la mia bambina era diversa.
-E sì, la mia banca è differente. Non sei obiettiva perché sono tua figlia.
-E allora ti auguro di avere una figlia come te, così capirai cosa significa. Oh come vorrei che tu...
-Ok ciao.
----------------
Listening to: Phoenix - Lisztomania
-Come adesso.
-Dai non scherzare, com'ero?
-Eri così, eri sì una ragazzina ma non eri come le altre ragazzine.
-Ma tu non volevi che fossi come le altre?
-Le altre erano stupidine, tu non sei mai stata una stupidina. Tu sei nata grande.
-Esagerata, mi sa che non ricordi bene.
-Il tuo primo giorno di asilo ti ho accompagnato a scuola, senza fare una piega ti sei seduta al tuo banchetto, intorno a te urla e pianti di bambini che non volevano restare, che si attaccavano alle gambe delle madri. Io ero lì, aspettavo una tua reazione, una parte di me voleva che piangessi, che mi chiamassi. E invece ti sei girata e hai detto: "ma adesso te ne vuoi andare!"
Mi hai spezzato il cuore. E ho capito che la mia bambina era diversa.
-E sì, la mia banca è differente. Non sei obiettiva perché sono tua figlia.
-E allora ti auguro di avere una figlia come te, così capirai cosa significa. Oh come vorrei che tu...
-Ok ciao.
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Listening to: Phoenix - Lisztomania
venerdì 24 luglio 2009
Flashback
Sono due anni che mi chiedo dove l'abbia vista, ha un viso familiare, mi è forse parente e non ne sono a conoscenza? Una signora anziana, di quelle belle cicciotte, va in giro con addosso una tenda, portandosi sempre dietro una caterva di buste. Cosa ci sia dentro è un mistero. Viene quasi tutti i giorni, un abituè, fissata con la pressione. Fa sempre tante domande, ma basta un sorriso per rassicurarla. Oggi ha detto "ho fatto la bidella per tanti anni".
Un flash nella mia mente. Un corridoio lungo e vuoto, una pioggia battente.
Un attimo, un attimo, che succede. Andiamo con calma. Rewind.
Il corridoio è quello della mia scuola elementare, è un giorno di pioggia, uno di quelli in cui si allagano anche le scuole. Nel corridoio ci sono io, sono scesa dal secondo piano per prendere il gessetto in segreteria. Alla fine del corridoio ci sono 4 gradini, io sono ferma, mi preparo per prendere la rincorsa e saltare quei 4 gradini. Con il gessetto stretto in una mano inizio la mia folle corsa, a grandi falcate mi avvicino verso il punto in cui spiccherò il salto.
Sento una voce: "nennè vai chian, ca' se scjulie!" (Ragazzina vai piano che si scivola).
Troppo tardi, sto già volando, fiera di saper saltare così in alto. Punto i piedi per l'atterraggio, appena le scarpe toccano il pavimento qualcosa non va, non aderiscono, scivolo, e mi ritrovo distesa, lunga lunga con la schiena per terra.
Secondi che sembrano un'eternità, lì a terra, bagnata, umiliata e una voce: "io t'ho seva ritt' ca' se scjuliav!" (te l'avevo detto che si scivolava).
Mi volto indietro e c'è una signora, grassoccia, sorridente, che indossa una tenda.
----------------
Listening to: Tristan Prettyman - Hello
Un flash nella mia mente. Un corridoio lungo e vuoto, una pioggia battente.
Un attimo, un attimo, che succede. Andiamo con calma. Rewind.
Il corridoio è quello della mia scuola elementare, è un giorno di pioggia, uno di quelli in cui si allagano anche le scuole. Nel corridoio ci sono io, sono scesa dal secondo piano per prendere il gessetto in segreteria. Alla fine del corridoio ci sono 4 gradini, io sono ferma, mi preparo per prendere la rincorsa e saltare quei 4 gradini. Con il gessetto stretto in una mano inizio la mia folle corsa, a grandi falcate mi avvicino verso il punto in cui spiccherò il salto.
Sento una voce: "nennè vai chian, ca' se scjulie!" (Ragazzina vai piano che si scivola).
Troppo tardi, sto già volando, fiera di saper saltare così in alto. Punto i piedi per l'atterraggio, appena le scarpe toccano il pavimento qualcosa non va, non aderiscono, scivolo, e mi ritrovo distesa, lunga lunga con la schiena per terra.
Secondi che sembrano un'eternità, lì a terra, bagnata, umiliata e una voce: "io t'ho seva ritt' ca' se scjuliav!" (te l'avevo detto che si scivolava).
Mi volto indietro e c'è una signora, grassoccia, sorridente, che indossa una tenda.
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Listening to: Tristan Prettyman - Hello
mercoledì 1 aprile 2009
La rivincita delle Betty
Di recente facendo zapping sono capitata su un programma che mi ha fatto fare un salto nel mio passato da studentessa. Il programma è "la più bella della classe" in onda su Sky Life, e in parole povere si racconta la storia di quella che tra i banchi di classe era considerata la più bella, com'era e com'è diventata, con tanto di reunion finale. Carino se non fosse così politically correct, insomma è difficile che una bella ragazza diventi una brutta donna da grande, a meno di clamorose metamorfosi fisiche.
Sarebbe molto più interessante vedere il contrario, ovvero come è diventata la più brutta della classe, sicuramente più cattivo ma dai risvolti inaspettati.
Ed io mi candido per questa versione del programma.
Oddio non ero proprio la più brutta della classe, di sicuro non ero la più bella, ero quella simpatica, si dice così no?
Erano gli inizi degli anni '90, scuola media, sono gli anni in cui non si è più bambini ma non si è ancora ragazzi, ed io non sapevo cosa fossi, mente da adulto in un corpo da bambina, un corpo magro magro, così magro che mi affibbiarono un nomignolo che sostituì il mio vero nome, capelli lunghi secchi e cresposi, apparecchio ai denti e dulcis in fundo anche gli occhiali, perché tutti i bambini di 12 anni portano gli occhiali, anche se non servono e vedi meglio senza. Ecco ero un cesso, però ero un cesso abbastanza popolare, un Ugly Betty in piena regola.
Al liceo le cose peggiorano, cesso ero e cesso rimasi, ma caddi nell'anonimato più assoluto, quella che se non c'era non se ne accorgevano e se c'era non se ne accorgevano lo stesso. Nemmeno il taglio dei capelli riuscì a farmi guadagnare qualche punto, ero l'idolo delle professoresse di religione, di storia e di disegno, sfiga allo stato puro.
Ho dovuto aspettare l'università per vedere che qualcosa stava cambiano, qualche chilo in più, soprattutto nei punti giusti, i capelli che ricrescono e magicamente diventano normali, e il ritorno ad essere "qualcuno".
Ora non posso lamentarmi, diciamo che faccio la mia porca figura, con il camice bianco poi non ho rivali. D'altronde se per la prima volta nella mia vita mi fischiano dietro quando cammino per strada un motivo ci sarà.
Quindi fatemi fare questo programma, che faccio schiattare un po' di gente.
----------------
Listening to: Bon Iver - Blindsided
Sarebbe molto più interessante vedere il contrario, ovvero come è diventata la più brutta della classe, sicuramente più cattivo ma dai risvolti inaspettati.
Ed io mi candido per questa versione del programma.
Oddio non ero proprio la più brutta della classe, di sicuro non ero la più bella, ero quella simpatica, si dice così no?
Erano gli inizi degli anni '90, scuola media, sono gli anni in cui non si è più bambini ma non si è ancora ragazzi, ed io non sapevo cosa fossi, mente da adulto in un corpo da bambina, un corpo magro magro, così magro che mi affibbiarono un nomignolo che sostituì il mio vero nome, capelli lunghi secchi e cresposi, apparecchio ai denti e dulcis in fundo anche gli occhiali, perché tutti i bambini di 12 anni portano gli occhiali, anche se non servono e vedi meglio senza. Ecco ero un cesso, però ero un cesso abbastanza popolare, un Ugly Betty in piena regola.
Al liceo le cose peggiorano, cesso ero e cesso rimasi, ma caddi nell'anonimato più assoluto, quella che se non c'era non se ne accorgevano e se c'era non se ne accorgevano lo stesso. Nemmeno il taglio dei capelli riuscì a farmi guadagnare qualche punto, ero l'idolo delle professoresse di religione, di storia e di disegno, sfiga allo stato puro.
Ho dovuto aspettare l'università per vedere che qualcosa stava cambiano, qualche chilo in più, soprattutto nei punti giusti, i capelli che ricrescono e magicamente diventano normali, e il ritorno ad essere "qualcuno".
Ora non posso lamentarmi, diciamo che faccio la mia porca figura, con il camice bianco poi non ho rivali. D'altronde se per la prima volta nella mia vita mi fischiano dietro quando cammino per strada un motivo ci sarà.
Quindi fatemi fare questo programma, che faccio schiattare un po' di gente.
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Listening to: Bon Iver - Blindsided
sabato 14 marzo 2009
It's my ride
Da piccola amavo andare in bici, la bicicletta ed io eravamo una cosa sola, facevo di tutto sulla bici, mangiavo anche, un cucchiaio e un giro, un cucchiaio e due giri. Praticamente quello che mangiavo lo consumavo all'istante.
E le cadute, diamine, quante cadute ho preso, ne porto ancora i segni, mi chiamavano ginocchie rosse, per via del mercurio cromo, non facevo in tempo a cicatrizzare la ferita che già me ne procuravo un'altra.
Una volta ho temuto di perdere la gamba, usciva un liquido giallastro, se la abbassavo colava tutto.
Bei tempi quelli in cui potevo girare liberamente per il paesello senza il timore di essere investita, con il sole e il vento in faccia, padrona della strada, a tentare di pedalare senza mani.
Mi è venuta una voglia matta di ritornare in sella vedendo un video. Sensazione di libertà.
It's Your Ride from Cinecycle on Vimeo.
Il brano (bello) che fa da colonna sonora è The Hustle di Alan Wilkis, scaricabile gratuitamente da Last Fm
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Listening to: The Hustle - Alan Wilkis
E le cadute, diamine, quante cadute ho preso, ne porto ancora i segni, mi chiamavano ginocchie rosse, per via del mercurio cromo, non facevo in tempo a cicatrizzare la ferita che già me ne procuravo un'altra.
Una volta ho temuto di perdere la gamba, usciva un liquido giallastro, se la abbassavo colava tutto.
Bei tempi quelli in cui potevo girare liberamente per il paesello senza il timore di essere investita, con il sole e il vento in faccia, padrona della strada, a tentare di pedalare senza mani.
Mi è venuta una voglia matta di ritornare in sella vedendo un video. Sensazione di libertà.
It's Your Ride from Cinecycle on Vimeo.
Il brano (bello) che fa da colonna sonora è The Hustle di Alan Wilkis, scaricabile gratuitamente da Last Fm
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Listening to: The Hustle - Alan Wilkis
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